Le terre e rocce da scavo sono uno dei residui più frequenti delle lavorazioni dei cantieri edili, frutto della necessità di movimentare terra e portare il materiale di scavo al di fuori del cantiere stesso. La loro gestione prevede una verifica iniziale di assenza di contaminazione e due strade possibili per l’allontanamento dal cantiere: il cosiddetto piano scavi (che tecnicamente si chiama piano di utilizzo) e il trasporto a recupero/ smaltimento accompagnato dai formulari. Vediamo di chiarirci per bene le idee su come scegliere tra le due alternative.
Cosa si intende per terre e rocce da scavo?
Con l’espressione “terre e rocce da scavo” si fa riferimento a più cose, motivo per cui il rischio di fraintendimento è sempre dietro l’angolo. In particolare si può parlare di terre e rocce da scavo in relazione a quattro tipologie di materiale:
- il materiale naturale (con un frazione di materiale di riporto) frutto di scavo o movimentazione che si trova in cantiere, a prescindere dal fatto che sia da riutilizzare in sito o da portare via;
- lo stesso materiale al punto 1, ma solo per la frazione che deve essere allontanata dal cantiere;
- il materiale al punto 2 che viene gestito con il piano di utilizzo (riutilizzo);
- il materiale al punto 2 che viene gestito come rifiuto (CER 17 05 04) e viene avviato a recupero o smaltimento.

Verifica iniziale di assenza di contaminazione
Nel momento in cui si rende necessario eseguire degli scavi e movimentare del materiale di scavo in cantiere, diventa necessario effettuare una preliminare verifica di assenza di contaminazione del terreno.
Si tratta cioè di prelevare dei campioni di terra in posizione e profondità da definire in funzione dei volumi di materiale da movimentare e di sottoporli ad analisi di laboratorio.
La verifica da effettuare riguarda il rispetto dei valori di “concentrazioni soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti“ riportati nelle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo Unico Ambientale).

In pratica le due colonne stabiliscono quali sono i valori massimi ammissibili di determinati composti in un terreno, in funzione della destinazione d’uso dell’area da cui previene o a cui è destinato il terreno:
- la colonna A riguarda i siti ad uso verde pubblico e privato e residenziale;
- la colonna B riguarda i siti a uso commerciale e industriale.
Quindi, dal punto di vista operativo:
- si prelevano i campioni;
- si sottopongo ad analisi;
- si verifica la destinazione d’uso dell’area da Piano di Governo del Territorio (PGT);
- si confrontano i risultati dell’analisi di laboratorio rispetto ai valori di concentrazione soglia previsti per la destinazione d’uso.
Se i valori riscontrati nei campioni sono compatibili con i limiti previsti per la destinazione d’uso, si può procedere con l’attività di scavo, in caso contrario il sito deve essere sottoposto preliminarmente a bonifica.

Quando le terre e rocce da scavo sono rifiuti e quando posso utilizzare il “piano scavi”?
La scelta di classificare le terre e rocce da scavo come rifiuto o come sottoprodotto è il risultato di valutazioni economiche e logistiche.
È una scelta operativa che dipende da due aspetti:
- tipologia di siti di destinazione che possono accettare le terre e rocce che si trovino a una distanza ragionevole (ed economicamente sostenibile) dal cantiere;
- riconoscimento economico previsto dalla stazione appaltante o dal committente per lo smaltimento delle terre come rifiuto (con formulario) o come sottoprodotto (con piano di utilizzo e relativi documenti di trasporto).
L’unico caso in cui la scelta di smaltimento come rifiuto è vincolata è quello in cui si arriva alla classificazione del rifiuto come pericoloso (CER 17 05 03*).

Dopo la verifica di assenza di contaminazione
Ammettiamo che l’analisi preliminare abbia rilevato assenza di contaminazione o che sia stata effettuata la bonifica. A questo punto si tratta di capire se nei dintorni del cantiere siano presenti siti che possono accogliere le terre e rocce da scavo come rifiuto (con formulario) o come sottoprodotto (con piano di utilizzo e relativi documenti di trasporto) e valutare le relative condizioni economiche (costo a tonnellata) rispetto al riconoscimento dell’attività da parte del committente.
La combinazione della tipologia autorizzativa del sito di destinazione e della valutazione economica è ciò che determina la scelta tra i due tipi di gestione.
Se si sceglie di gestire le terre e rocce da scavo come rifiuto, bisognerà:
- integrare le analisi iniziali (colonna A/colonna B), con la caratterizzazione e il test di cessione (che definiscono l’attribuzione del CER/ non pericolosità del rifiuto e la recuperabilità o meno del rifiuto);
- accompagnare ogni trasporto con un formulario (FIR).

Se si sceglie di gestire la terre e rocce da scavo come sottoprodotto, invece, si dovranno rispettare le disposizione del DPR 120/2017 che, in sintesi richiedono di:
- presentare il piano di utilizzo con 15 giorni di anticipo sull’avvio delle attività di scavo;
- accompagnare ogni trasporto con un documento di trasporto (secondo il modello specifico previsto dal decreto);
- segnalare eventuali variazioni significative di quantità, durata e siti di destinazione rispetto al piano di utilizzo iniziale, sempre con 15 giorni di anticipo rispetto alla variazione;
- presentare il piano di avvenuto utilizzo al termine dell’attività di scavo (e comunque entro la scadenza indicata sul piano di utilizzo).
Per concludere, rispondiamo a una domanda sempre attuale.
Chi è il produttore delle terre e rocce da scavo?
Il produttore delle terre e rocce da scavo è il soggetto che esegue fisicamente lo scavo. Ed è il soggetto che compare nella riga “produttore” del FIR e che deve compilare e trasmettere il piano di utilizzo in caso di gestione delle terre e rocce come sottoprodotto.
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